Bandi “BIM”: le specifiche tecniche ed il principio dell’equivalenza

14.04.2020 - Tempo di lettura: 2'
Bandi “BIM”: le specifiche tecniche ed il principio dell’equivalenza

Sin da prima dell’entrata in vigore del Nuovo Codice dei Contratti pubblici, adottato con il D.lgs. 50 del 2016, si sono avuti esempi di Stazioni Appaltanti che nei propri bandi hanno richiesto l’impiego dell’approccio metodologico “BIM” (cfr. “Procedura aperta per l’affidamento di un appalto di lavori di restauro e la riqualificazione del Teatro Lirico, via Larga 14 Milano”- Appalto n. 127 del 2014 del Comune di Milano).

Naturalmente l’utilizzo di una metodologia complessa come il “BIM”, che richiede l’uso sia di strumenti software che hardware per la propria implementazione, comporta la necessità per le stazioni appaltanti di indicare le specifiche tecniche desiderate per la realizzazione di quanto posto a base di gara.

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BIM e gare d’appalto: la normativa

Le modalità con cui tali indicazioni debbono avvenire sono dettate dall’art. 68 del D.Lgs. 50/2016 rubricato “Specifiche tecniche” che, al comma 6, recita: “Salvo che siano giustificate dall’oggetto dell’appalto, le specifiche tecniche non possono menzionare una fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento particolare caratteristico dei prodotti o dei servizi forniti da un operatore economico specifico, né far riferimento a un marchio, a un brevetto o a un tipo, a un’origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti. Tale menzione o riferimento sono tuttavia consentiti, in via eccezionale, nel caso in cui una descrizione sufficientemente precisa ed intelligibile dell’oggetto dell’appalto non sia possibile applicando il comma 5. In tal caso la menzione o il riferimento sono accompagnati dall’espressione ‹‹o equivalente››”.

La ratio della citata disposizione normativa è evidente, è quella di assicurare il rispetto dei principi di non discriminazione e di massima partecipazione, nella redazione della lex specialis di gara, statuendo come debba essere effettuato il richiamo all’interno dei bandi e dei capitolati, ed in generale in tutta la documentazione di gara, delle specifiche tecniche dei prodotti richiesti dall’amministrazione appaltante.

Nonostante la chiarezza del tenore letterale del comma 6 dell’art. 68 del D.lgs. 50/2016, a tutt’oggi, può capitare di imbattersi in discipline di gara che tra le specifiche tecniche richieste dalla stazione appaltante per l’esecuzione dell’appalto indicano il marchio, piuttosto che il nome commerciale ovvero che fanno riferimento alla fabbricazione o alla provenienza di un determinato prodotto da uno specifico operatore economico senza aggiungere l’espressione “o equivalente”.

L’ANAC, con il parere n. 199 depositato il 3 dicembre 2015, nell’ambito di una procedura di gara che richiedeva l’utilizzo della metodologia BIM, su specifica segnalazione di un operatore che contestava la legittimità della procedura per l’assenza nella documentazione di gara dell’espressione “o equivalente” con riferimento ad alcune specifiche tecniche, considerava legittimo l’operato dell’amministrazione in ossequio al principio di eterointegrazione.

Specificava l’ANAC, in particolare, che: “nell’eventualità in cui gli atti di gara non riportino la clausola di equivalenza per quelle specifiche tecniche che richiamano in determinato prodotto o servizio, tale lacuna viene colmata automaticamente dalla disciplina di cui all’art. 68 del codice dei contratti pubblici (allora vigente – ndr), in applicazione del principio di eterointegrazione delle clausole del bando, con l’effetto che le relative disposizioni normative entrano a far parte della lex specialis di gara, anche se non espressamente richiamate”.

È d’obbligo rilevare che tale parere veniva emesso prima dell’adozione del vigente codice dei contratti pubblici, adottato nel 2016, e che successivamente non è dato conoscere altri pareri specifici dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in materia di “BIM” ed equivalenza.

Anche se il principio di eterointegrazione è da considerarsi ormai consolidato presso l’ANAC, tuttavia si ritiene che nel caso dell’art. 68, comma 6, D.Lgs 50 del 2016, adottato successivamente al predetto parere, non avendo previsto espressamente il legislatore la possibilità di far ricorso all’ eterointegrazione ed essendo chiaro il tenore letterale della norma, nelle ipotesi di cui al predetto comma, non vi possa essere discrezionalità da parte delle stazioni appaltanti nel decidere se usare o meno l’espressione “o equivalente”.

Si tenga in considerazione, inoltre, che l’obbligo di inserire l’espressione “o equivalente” è previsto anche dal Titolo II, Capo II, della direttiva 2014/23/UE all’art. 36, intitolato “Requisiti tecnici e funzionali”, al comma 2, recepito, quasi pedissequamente, dall’art. 68 comma 6, D.lgs. 50/2016, con l’evidente conseguenza che non rispettare tale statuizione non si pone soltanto in contrasto con la volontà del legislatore nazionale ma anche di quello europeo.

Peraltro, che non possa interpretarsi che nel senso dell’obbligatorietà nei casi previsti  dall’art. 68, comma 6, D.Lgs. 50/2016 dell’aggiunta dell’espressione “o equivalente”, lo si ricava anche dalle modalità con cui vanno interpretate le norme nel nostro ordinamento.

Ed invero, l’art. 12 comma 1, delle preleggi, rubricato, appunto, “Interpretazione della legge”, statuisce che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore” e solo “se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”.

Come richiedere il BIM nei bandi

Ne deriva che la chiara formulazione letterale, dell’art. 36, comma 2, della direttiva 2014/23/UE, prima, e dell’art. 68, comma 6, D.Lgs 50/2016, poi, non lasciano spazio ad interpretazioni.

Di questo avviso anche la giurisprudenza che ha affermato che: “lo scopo della disposizione dell’art. 68, comma 6, D.Lgs. n. 50 del 2016 è quello di evitare che una fabbricazione o una provenienza determinata, o un procedimento particolare, con riferimento a un marchio o a un brevetto ovvero la descrizione in maniera estremamente dettagliata di un requisito tecnico tanto da renderlo riconducibile ad uno specifico operatore economico possa sortire l’effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti”  (T.A.R. Emilia-Romagna Bologna Sez. I, 25/01/2019, n. 88 – R.D.C.I. S.p.A. c. Intercent -Er Agenzia Regionale per lo Sviluppo dei Mercati Telematici e altri).

Ed inoltre, che: “in tema di una procedura ad evidenza pubblica, la prescrizione della lex specialis di gara che impone la formulazione dell’offerta comprensiva di uno specifico prodotto fornito solo da un operatore economico, omettendo la menzione del termine “o equivalente”, senza che tale scelta restrittiva o escludente sia giustificata, pone la clausola in palese violazione dell’art. 68 D.Lgs. n. 50 del 2016 e, comunque, più in generale, in contrasto con i principi di libera ed effettiva concorrenza e di par condicio” (T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 19/02/2018, n. 283 – O.I. s.p.a. c. ESTAR e altri).

Se è pur vero che da parte di una stazione appaltante potrebbe, nel caso di mancata indicazione dell’espressione “o equivalente” invocarsi che tale riferimento è comunque indirettamente ricavabile dalla disciplina di gara, se costruita correttamente, in ossequio al principio di conservazione degli atti giuridici, è altrettanto vero che ciò contrasta con l’evidente ed inequivoco tenore della norma nazionale e delle indicazioni provenienti dal legislatore europeo.

Ne consegue, che una disciplina di gara per andare esente da qualsiasi contestazione dovrebbe riportare in modo espresso, così come previsto e per i casi di cui all’art. 68, comma 6, l’espressione “o equivalente”.

Gare BIM e principio dell’equivalenza

Ciò non solo per doverosa conformità al dettato normativo ma, anche, per consentire agli operatori economici del territorio europeo che si trovino a leggere la traduzione nella loro lingua di un bando italiano, la possibilità di non avere dubbi sulla propria possibilità di partecipazione se in possesso di prodotti equivalenti.

La mancata chiara indicazione dell’espressione “o equivalente”, voluta, si ribadisce, anche a livello dell’Unione europea, laddove indicati degli specifici prodotti con marchi o brevetti riconducibili a determinati operatori nella disciplina di gara, potrebbe invero comportare la determinazione da parte dell’operatore straniero che non abbia la possibilità di accedere ad un adeguato supporto legale ed interpretativo, di adottare la determinazione di non partecipare ad una determinata procedura. Ciò si tradurrebbe, anche se non volontariamente posto dalla stazione appaltante, in una violazione del principio di garanzia della massima partecipazione alle gare d’appalto.

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