Un approccio scientifico all’HR management. Come cambia il concetto di talento?

02.11.2017 - Tempo di lettura: 3'
Un approccio scientifico all’HR management. Come cambia il concetto di talento?

Un’intervista al prof. Luca Solari, Università  degli studi di Milano, Human Resources Management, autore del recente libroL’utilizzo dei dati per il governo delle organizzazioni. Un approccio scientifico all’HR management”.

Nelle aziende, i processi e gli strumenti tecnologici finalizzati alla condivisione della conoscenza dovrebbero determinare una ridistribuzione orizzontale del potere e una nuova configurazione organizzativa, non pi๠basata su principi gerarchici e relazioni di dipendenza. Si dovrebbe passare da un rapporto transazionale a uno relazionale.

Probabilmente ci vorrà  tempo, soprattutto quando si dovranno rivedere le posizioni apicali; però sembra questa la strada intrapresa dalle aziende più innovative. (Anche se non è affatto detto che digitalizzare i processi e introdurre tecnologie social provochi necessariamente un cambiamento organizzativo meno gerarchico e strutturato).

Sotto questa prospettiva, chiedo al prof. Solari: come si potrebbe definire in modo più appropriato il talento di una persona? E, soprattutto, come potrà  valutarlo l’HR?

“Nelle organizzazioni che assorbiranno appieno la tecnologia sociale che accompagna il digitale, fatta di orizzontalità  e di collaborazione, il talento cambierà  natura. Da un lato, diventerà  difficile immaginare di definire il talento con i processi tradizionali, ovvero la people review, troppo baricentrata sulle percezioni del manager diretto, nonostante l’uso delle sessioni di calibration. La natura flessibile e plasmabile dei talenti richiesti da queste organizzazioni li renderà  dei moving target che nessuno potrà  formalizzare ex-ante, ma al massimo rilevare ex-post. Dall’altro, il concetto di successo cambierà  forma e ciò che oggi è talento, spesso legato ad un modello molto conformista di comportamento e di gestione della propria immagine interna, cesserà  di avere valore. L’ampliamento della platea di chi è chiamato a identificare la qualità  dei contributi, magari grazie a sistemi peer-to-peer e l’emergere di valori pi๠legati alle conoscenze specifiche e alla collaborazione che alla gerarchia, renderà  giustizia ai processi che oggi raramente ricompensano davvero chi vale. Anche perché chi vale non ha bisogno di aspettare di essere definito talento”

In passato (ma ancora oggi in moltissime aziende), come metro di valutazione principale di un collaboratore si utilizzavano le spiccate capacità , le abilità  differenzianti da inserire nelle diverse funzioni, anche se era tutt’altro che secondaria la fedeltà  all’impresa, al proprio capo, ai principi e alle scelte compiute dall’azienda. La carriera di un collaboratore era già  delineata a tavolino (a meno di qualche incidente di percorso).

Oggi, con le tecnologie digitali, di organigramma si parla sempre meno; le capacità  e le abilità  di un collaboratore non sono più stabilite da un ruolo o da una funzione, non rappresentano un elemento esclusivo, perché possono variare a seconda delle circostanze (incarichi) e vengono considerate in modo pragmatico. Importa verificare che il percorso compiuto abbia comunque prodotto un’esperienza di apprendimento e abbia fornito  in un modo o nell’altro – un contributo all’azienda (insomma, l’errore non è necessariamente uno stigma negativo ma un’esperienza per crescere). Men che meno oggi conta la fedeltà, o l’accondiscendenza verso chi opera in posizioni superiori. Il rapporto è paritario, è preferibile il comportamento di chi sa porsi in posizione di critica costruttiva (managing your boss).

In questa ottica, prof. Solari, come può cambiare il contratto psicologico con il collaboratore al quale è stato concesso di acquisire autonomia e responsabilità ? Come dovrebbero strutturarsi i rapporti con lui? Come potrà  l’HR indirizzare e guidare la sua crescita professionale e personale? Avrà  ancora senso parlare di meritocrazia (a condizione che ne abbia mai avuto)?

“Questa domanda centra un punto fondamentale: la sfida che ha davanti a sè l’HR e tutto un mondo di imprese nate sull’onda della rivoluzione digitale. Non è un caso infatti che esista già  una risposta in un libro poco conosciuto in Italia, forse il più lucido contributo alla fine dell’era del contratto psicologico tradizionale. Parlo del libro The Alliance che, elaborato sull’esperienza di LinkedIn e di una serie di organizzazioni della Silicon Valley, propone tre strade radicalmente diverse di gestione delle persone.

 Ne parlo in un libro in uscita dal titolo “L’utilizzo dei dati per il governo delle organizzazioni. Un approccio scientifico all’HR management” – Edizioni ESTE – dedicato a portare nel dibattito italiano dei concetti che sono assenti, ma che a mio avviso non possono mancare, attraverso un approccio divulgativo e esperienziale, trattando anche i temi dell’evidence based HR e degli HR analytics.

Riprendendo The Alliance, le organizzazioni devono riconoscere che le persone sono destinate a diventare protagoniste della loro crescita e delle scelte sul lavoro. L’HR del futuro dovrà  imparare ad allineare quello che serve all’organizzazione con i desideri e i progetti delle persone. Le persone non chiederanno meritocrazia perché di fatto saranno il mercato e la competizione a imporla e forse, finalmente, smetteremo di vedere investimenti in costosi processi di analisi che poi risultano inefficaci!”

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