Non più autocelebrazioni: perché gli anniversari degli Studi stanno diventando beni pubblici

Perché le ricorrenze non sono più solo autocelebrazione, ma dispositivi di senso per città, clienti e comunità professionali
Per molto tempo, negli studi professionali, le ricorrenze importanti – i venticinque, i cinquanta anni – sono state gestite come un affare interno: una cena, qualche gadget, un volume celebrativo a tiratura limitata, qualche post sui social.
Oggi questo approccio comincia a mostrare i suoi limiti, soprattutto in contesti come quello legale e fiscale, dove la credibilità non si misura solo sulla competenza tecnica, ma anche sulla capacità di essere parte consapevole delle trasformazioni economiche, sociali e urbane.
Un anniversario, soprattutto se “tondo”, non è solo un traguardo cronologico: è un dispositivo narrativo. È il momento in cui uno studio è chiamato a rispondere a tre domande fondamentali: che cosa abbiamo fatto in questi anni, che cosa abbiamo imparato e che cosa vogliamo restituire al contesto in cui operiamo.
Da come si risponde a queste domande – e da come lo si racconta – dipende la qualità della celebrazione.
Quattro modi (molto diversi) di “festeggiare” uno studio
Guardando alle esperienze italiane e internazionali, si possono riconoscere almeno quattro grandi tipologie di approccio alle ricorrenze degli studi professionali.
- La celebrazione interna ed esclusiva
È il modello più tradizionale: evento riservato, discorsi dei founding partner, video istituzionali, magari qualche cliente strategico invitato in platea. Ha il pregio della semplicità: consolida il senso di appartenenza, permette un momento di riconoscimento reciproco, può essere utile per rinsaldare relazioni chiave.
Il limite è altrettanto evidente: rimane dentro il perimetro dello studio. Quello che si celebra è soprattutto il passato, e ciò che si comunica all’esterno rischia di ridursi a poche immagini codificate e poco memorabili. In termini reputazionali, è un’operazione neutra: difficilmente sposta la percezione dello studio presso clienti, istituzioni, comunità professionale. - L’anniversario come piattaforma di responsabilità sociale
Un secondo modello vede l’anniversario come occasione per “restituire” qualcosa alla collettività, spesso attraverso iniziative di pro bono, raccolte fondi o progetti di volontariato diffuso. Alcuni studi hanno legato il proprio compleanno a campagne di giving strutturate – per esempio programmi di “atti di dono” o di impegno civico diffusi nell’arco di un anno – oppure a specifici progetti sociali, in collaborazione con enti del terzo settore o istituzioni culturali.
Il vantaggio è duplice: da un lato, si rafforza la coerenza fra valori dichiarati e comportamenti; dall’altro, la ricorrenza diventa un catalizzatore di energie interne, coinvolgendo professionisti e staff in qualcosa che va oltre il lavoro quotidiano. Il rischio, se la progettazione è superficiale, è che il tutto si riduca a una “campagna di immagine” episodica, poco integrata nel posizionamento dello studio. - Il compleanno come leva di brand refresh
Un terzo approccio utilizza l’anniversario come occasione per rivedere identità visiva, sito, narrazione di marca. È la logica del heritage marketing: riprendere in mano la propria storia, identificare i tratti di continuità e di discontinuità, e trasformarli in un racconto coerente con le sfide future.
In questo caso, la ricorrenza alimenta un lavoro di posizionamento strategico: chi siamo diventati, quali clienti vogliamo attrarre, quale contributo specifico possiamo dare. È un approccio utile soprattutto quando lo studio ha attraversato trasformazioni profonde (fusioni, ampliamenti di practice, apertura a mercati esteri). Il limite, ancora una volta, è il rischio di autoreferenzialità: senza un’idea chiara di “per chi” e “per che cosa” si sta aggiornando la narrazione, il lavoro rischia di rimanere confinato alla superficie grafica. - L’anniversario come progetto culturale e civico
Un quarto modello, meno frequente ma particolarmente interessante per il mondo degli studi legali e dei commercialisti, è quello che sposta la ricorrenza sul terreno del progetto culturale, rendendola un’occasione di riflessione pubblica su temi che attraversano la società e i territori in cui lo studio opera.
Qui non si tratta più solo di raccontare “la storia dello studio”, ma di usare quella storia come lente per osservare fenomeni più ampi: trasformazioni urbane, evoluzione delle regole, rapporto fra pubblico e privato, giustizia sociale, accesso ai diritti. Alcune esperienze all’estero hanno scelto questa strada, legando il compleanno dello studio a mostre, programmi di incontri, pubblicazioni o percorsi educativi aperti alla cittadinanza.
È in questa quarta traiettoria che si colloca l’esperienza di BLV – Belvedere & Partners, che ha scelto di celebrare i cinquant’anni con una mostra, un libro, un convegno e laboratori per bambini all’ADI Design Museum di Milano.
BLV – Belvedere & Partners: trasformare una ricorrenza in un bene pubblico
La scelta di BLV – Belvedere & Partners è stata, fin da subito, controintuitiva rispetto al canone più diffuso. Nessuna grande autocelebrazione chiusa in una sala, nessuna campagna centrata solo sullo Studio. Al contrario: portare l’anniversario nello spazio pubblico della città, facendone l’occasione per parlare di trasformazioni urbane, regole, diritto alla casa, educazione civica.
Il cuore del progetto è la mostra “Quando l’essenziale è invisibile agli occhi. Il contributo dello Studio Belvedere alle innovazioni e alla tutela del territorio”, ospitata all’ADI Design Museum.
Il percorso espositivo si sviluppa lungo una timeline che copre cinque decenni, dal 1975 al 2025, e intreccia la storia dello Studio con quella di Milano e del Paese. Fotografie, disegni, documenti e testimonianze ricostruiscono il modo in cui le scelte urbanistiche, le norme, gli attori pubblici e privati, i cambiamenti economici e sociali hanno ridisegnato il volto della città.
Tre casi studio – Bicocca, Piazza Compasso d’Oro, il quartiere di San Siro – funzionano come snodi narrativi: luoghi in cui le trasformazioni fisiche dello spazio urbano si intrecciano con questioni di accessibilità, identità dei quartieri, rapporto fra patrimonio industriale e nuovi usi, tensione fra interessi privati e interesse generale.
Il contributo dello studio legale, tradizionalmente “invisibile” agli occhi del grande pubblico, qui viene reso leggibile: non nella forma di un elogio di sé, ma come chiave per interpretare la complessità delle trasformazioni urbane. Il diritto non è rappresentato come mera cornice burocratica, ma come campo di forze in cui si negoziano diritti, opportunità, vincoli, responsabilità.
Dal convegno alla città: il ruolo delle regole e il rischio dell’esclusione
A completare la mostra, BLV ha promosso il convegno “L’evoluzione dell’abitare e del governo del territorio”, un pomeriggio di confronto che ha riunito professionisti, accademici, operatori del real estate, rappresentanti delle istituzioni.
Il punto di partenza è semplice, ma decisivo: la trasformazione delle città non è mai solo una questione urbanistica. È, insieme, un fenomeno economico, finanziario, culturale, sociale, persino morale.
Nel corso del dialogo è emersa con forza una tensione che riguarda da vicino Milano: una città storicamente inclusiva che rischia di diventare, lentamente, una città dell’esclusione. L’abitare accessibile non è più un problema confinato alle fasce più fragili, ma riguarda il ceto medio, i lavoratori essenziali, le professionalità che fanno funzionare – ogni giorno – l’ecosistema urbano.
Accanto al tema dell’accessibilità, si è affacciata la questione della perdita di identità dei luoghi: quartieri che tendono ad assomigliarsi, spazi pubblici che faticano a essere luoghi di relazione, centri storici che rischiano di trasformarsi in scenografie intercambiabili.
In questo scenario, il convegno ha messo al centro il tema delle regole: senza coerenza delle scelte pubbliche, senza processi decisionali chiari, senza un quadro normativo leggibile e prevedibile, nessuna rigenerazione è credibile. Le norme urbanistiche ed edilizie non sono solo tecnicalità per addetti ai lavori, ma strumenti che determinano se una città può essere abitabile, equa, riconoscibile.
Il disegno di legge sull’housing accessibile e il lavoro sulla rigenerazione del quartiere ERP di San Siro, discussi durante l’incontro, sono stati letti non come semplici dossier tecnici, ma come tentativi di riportare l’urbanistica alla sua funzione originaria: orientare la convivenza, custodire il legame fra comunità e territorio, rendere concreto il diritto alla città.
In questo senso, la scelta di BLV di usare il proprio anniversario per accendere un faro su questi temi non è neutrale: è una presa di posizione sul ruolo che uno studio legale può e deve avere nel dibattito pubblico.
Il libro: dare profondità storica a una pratica legale
A coronare la mostra, BLV ha affiancato un volume curato da Luca Mocarelli, storico economico, che ripercorre la storia di Milano e del comparto immobiliare, intrecciandola con l’attività dello Studio.
Il libro adotta uno sguardo inedito: non si limita a elencare operazioni e operazioni, ma utilizza l’esperienza dello Studio come osservatorio privilegiato per comprendere come, dagli anni Settanta a oggi, siano cambiati i rapporti fra pubblico e privato, fra rendita e innovazione, fra progettazione e norme, fra città esistente e città che si vuole costruire.
Un elemento interessante, anche per la comunità degli avvocati e dei commercialisti, è l’attenzione dedicata ai servizi legali come infrastruttura invisibile dei processi di trasformazione urbana: un’attività essenziale, ma raramente riconosciuta nei discorsi pubblici sulla città.
L’operazione editoriale, in questo senso, compie un doppio gesto: storicizza il ruolo dello Studio – ancorandolo a un contesto più ampio – e, allo stesso tempo, restituisce visibilità al lavoro delle professioni nel campo del real estate e della rigenerazione urbana.
“Missione Città”: educare i cittadini di domani
Forse l’elemento più originale dell’intero progetto è il ciclo di laboratori “Missione Città”, realizzato in collaborazione con il Junior Design Lab dell’ADI e dedicato a bambine, bambini e famiglie.
Per due giornate, i più piccoli sono stati invitati a “progettare la propria porzione di città”: a ciascuno veniva affidata una tessera di territorio urbano da immaginare, disegnare, trasformare. Alla fine, tutte le tessere sono state ricomposte in un’unica grande installazione, una città collettiva che dà forma alla pluralità di sguardi sulla Milano del futuro.
Questa scelta sposta ancora una volta il baricentro: l’anniversario non è più un fatto per addetti ai lavori, ma diventa un’occasione per fare educazione civica in modo concreto e giocoso, lavorando sulla consapevolezza delle regole e sulla responsabilità che ciascuno ha nel progettare gli spazi che abita.
Per uno studio legale, decidere di destinare parte delle energie del proprio cinquantesimo a un progetto educativo per bambini significa riconoscere che il diritto alla città non è una formula astratta, ma qualcosa che si costruisce – e si impara – fin da piccoli.
Dal compleanno all’eredità: una lezione per gli studi professionali
Che cosa ci insegna, in definitiva, il caso BLV – Belvedere & Partners sul modo di celebrare una ricorrenza professionale?
Almeno tre cose, che possono essere utili anche ad altri studi, legali e non solo:
- L’anniversario non è il centro, è il pretesto.
Il focus non è “lo studio che compie gli anni”, ma i temi che lo studio decide di portare nello spazio pubblico grazie a quella ricorrenza: città, regole, accessibilità, educazione. - Il linguaggio non è solo quello dell’autoreferenzialità, ma quello del contributo.
Una mostra aperta al pubblico, un libro che parla anche ai non addetti ai lavori, un convegno che affronta nodi concreti del governo del territorio, laboratori per bambini: tutti questi elementi dicono implicitamente che lo studio riconosce di essere parte di una comunità e di avere verso quella comunità un dovere di restituzione. - La celebrazione si misura in termini di eredità, non di effetto speciale.
L’allestimento pensato per avere “una seconda vita”, la costruzione di contenuti che restano (volume, materiali, tracce digitali), il coinvolgimento di soggetti diversi (accademia, istituzioni, famiglie) sono tutti indizi di un approccio che non si esaurisce nel “giorno della festa”.
Per gli studi che stanno pensando a come gestire una ricorrenza importante, il messaggio implicito è chiaro: non si tratta solo di trovare il format più spettacolare, ma di chiedersi che tipo di futuro si vuole abitare – e che ruolo può avere lo studio nel costruirlo.