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Direttiva Case Green: ecco i rischi e le opportunità

Il 2022 è stato un anno importante per il mondo delle costruzioni, innegabilmente in crescita ma costantemente sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica per gli sviluppi dello strumento Superbonus. Proprio poco dopo che il Governo con la manovra di fine anno ha rinnovato, rimodulandolo, il meccanismo degli incentivi fiscali finalizzati all’efficientamento energetico degli edifici, peraltro non senza polemiche e pareri discordanti, ecco che arriva la notizia di una Direttiva UE che sembra parlare molto chiaro in tal senso.

Allo studio del Parlamento Europeo, infatti, ci sarebbe un pacchetto di norme già rinominato “Direttiva case green”, che imporrebbe tempistiche molto stringenti per il rinnovamento del patrimonio edilizio degli Stati Membri.

Obbiettivo della Direttiva è stimolare le ristrutturazioni di edifici privati e pubblici in tutta Europa, al fine di ridurre i consumi energetici e le emissioni di CO2 da essi generati ed è parte integrante del piano di transizione verde “Fit for 55”, con cui l’Unione europea vuole ridurre del 55% entro il 2030 le emissioni nocive rispetto ai livelli del 1990.

Tutto ciò si tradurrebbe in due prime scadenze decisamente impegnative: ricondurre tutto il patrimonio edilizio residenziale esistente alla Classe energetica E entro il 2030 ed alla Classe energetica D entro il 2033.

Un traguardo oltremodo ambizioso, in quanto stando ai dati Ance su 12,2 milioni di edifici residenziali presenti nel nostro Paese, oltre 9 non rispetterebbero i requisiti richiesti. Un numero impressionante, un divario francamente difficile da colmare nei tempi ipotizzati dalla Direttiva, per un sistema produttivo già non in grado di soddisfare le attuali richieste, come visto in questi mesi nell’ambito Superbonus, su scala molto più ridotta. La filiera delle costruzioni, tra l’altro proveniente da un decennio abbondante di destrutturazione del settore a causa di una crisi economica pesantissima, ha oggi capacità produttive ben definite, non incrementabili se non marginalmente in tempi brevi. Basti citare l’esempio del mancato ricambio generazionale nella manodopera specializzata: la mancanza di visione sia del sistema che delle istituzioni ha determinato un vuoto clamoroso in questo senso, che solo anni di investimenti in cultura e formazione specifica (peraltro ad oggi non riscontrabili) potranno parzialmente colmare.

Occorre quindi guardare a queste nuove possibili normative con uno sguardo più ampio: è inevitabile che occorrerà una rimodulazione operativa per ogni Stato, in funzione delle proprie caratteristiche specifiche, della propria storicità in termini di approccio al mercato immobiliare. In questo senso onestamente non credo ci saranno problemi particolari: negli ultimi anni le Direttive Europee hanno dimostrato di sapere adeguatamente svolgere il proprio ruolo di “Linee Guida”, senza incarnare il concetto di imposizione, lasciando ad ogni Paese sufficiente libertà per contestualizzarne i contenuti.

Sarà necessario pertanto impostare delle maglie decisamente più larghe in termini di scadenze, senza però dimenticare l’obbiettivo finale: la consistente riduzione del fabbisogno energetico del nostro patrimonio immobiliare, assolutamente sproporzionato rispetto ad una congiuntura geopolitica come quella attuale che non è in grado di fornire certezze nemmeno nel breve periodo.

Adeguatamente recepita, questa Direttiva può in realtà rappresentare una duplice opportunità: per il settore edilizio e per il sistema economico del nostro Paese. Infatti, se da un lato la prospettiva di un volume di mercato stabile per un paio di decenni potrebbe davvero aiutare il mondo delle costruzioni a ristrutturarsi in termini di solidità delle imprese e di attrattività nei confronti della manodopera, dall’altro l’innalzamento prestazionale del patrimonio edilizio nazionale non può che far bene alle casse dello Stato sia a livello di gettito fiscale indotto che a livello di riduzione delle spese energetiche.

Resta evidente il tema dell’incentivo fiscale: come già detto più volte, l’alto tasso di immobili di proprietà unito al decrescente potere di spesa del cittadino medio ha determinato nel nostro Paese una particolare congiuntura che ha portato al completo immobilismo manutentivo riguardo a gran parte degli edifici. In questo modo le manutenzioni ordinarie hanno presto assunto il carattere di straordinarietà, fino a diventare in taluni casi emergenziali. Di fronte a difficoltosi mutui ultradecennali, le risorse destinate alla manutenzione degli immobili oggetto di acquisto sono stati per lo più azzerati, determinandone un deperimento più repentino.

Appare inevitabile che, quindi, un certo ricorso all’incentivazione da parte dello Stato debba essere riconosciuto, a maggior ragione a fronte di un percorso di rinnovamento così strutturale come quello ipotizzato dalla Direttiva UE, con funzione di leva in grado di smuovere il mercato. Attraverso una “normalizzazione” dello strumento di cessione del credito, con aliquote più sostenibili da parte del Legislatore ma comunque interessanti per il contribuente, si potrebbe davvero innescare un meccanismo virtuoso in grado di portare il nostro Paese ad un reale efficientamento del comparto immobiliare nell’arco di 20/30 anni. Indirettamente sarebbe anche un intervento a tutela del valore della proprietà privata che così tanto caratterizza il nostro Paese nell’ambito immobiliare e che costituisce un importante patrimonio di ricchezza nell’economia interna.

Non dobbiamo dimenticare, infine, come l’esperienza Superbonus degli ultimi due anni da un punto di vista tecnico ci abbia permesso di sperimentare sul campo le migliori metodologie nel campo del contenimento energetico, ponendoci sicuramente in una posizione di vantaggio rispetto alla maggior parte dei colleghi europei.

Un valore aggiunto in termini di competitività da saper sfruttare in maniera intelligente nei prossimi anni.

28/02/2023
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